Blog – I vostri commenti

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Grazie Aristide

11 Responses to Blog – I vostri commenti

  1. Carmine Forcella ha detto:

    Non ho più sottomano il libro “Metastasi” ma ne ricordo perfettamente il contenuto. Innanzi tutto debbo chiarire che io ho titolo per intervenire sulla questione sequestro Giovanni Stucchi e non solo perché all’epoca ero ancora in servizio e mi occupai, con gli altri del reparto, del caso.
    Prima di procedere oltre è bene chiarire chi è il pentito Giuseppe Di Bella. Egli si dichiara facente parte del gruppo Coco Trovato Franco, ma non è stato mai affiliato alla ‘Ndrangheta. La ‘Ndrangheta è calabrese, lui è siciliano della provincia di Messina e, per come ho avuto occasione di leggere in altre operazioni di servizio, i calabresi non si fidavano molto dei siciliani della costa orientale.
    Siamo di fronte ad un manovale della ‘Ndrangheta ed è lui stesso a dirlo quando si dice costretto a cedere il suo locale per ordine del capo. Se fosse stato qualcuno questo ordine non sarebbe mai arrivato. Poi riferisce solo cose sapute da altri o dedotte ad eccezione della faccenda del tentato furto delle ceneri di Versace. In sostanza si è fatto grande con le penne del pavone.
    Nel libro si dice che prima che parlasse lui della penetrazione della ‘Ndrangheta in Lombardia si sapeva niente. Non è vero, perché il primo rapporto sul fenomeno è stato redatto dalla Questura di Como nel 1983 ed è ampiamente richiamato nell’operazione I Fiori nella Notte di S. Vito del 15 giugno 1994 che portò in carcere 378 persone. Prima di tale operazione vi era stato un altro calabrese a parlare della ‘Ndrangheta: Zagari Antonio che aveva scritto il libro: Ammazzare stanca. Dalle dichiarazioni di costui eseguita l’operazione di servizio Isola Felice eseguita il 14 gennaio 1994.
    Poi vi fu l’operazione Wall Street che portò in carcere tutti quelli del gruppo Coco Trovato e, a seguire Count Down. Ci sono stati fior di pentiti, ma nessuno che abbia parlato di Di Bella. Di Bella? Chi era costui? Poi viene arrestato e si pente e come tutti i pentiti cerca di acclarare di se un ruolo importante e che in realtà non ha mai avuto. Lui era un manovale.
    Sequestro Stucchi: come fa a dire che la scomparsa di Giovanni Stucchi è camuffata da sequestro di persona? Che era stata la moglie a chiedere il favore della scomparsa al gruppo Coco in cambio di 250 milioni di lire, naturalmente lui Di bella l’aveva saputo da altri. Ma Coco Franco, per quanto ne so, all’epoca del sequestro (14 ottobre 1974) dovrebbe essere stato detenuto per rapina e la Corte d’Appello di Milano nell’aprile 1975 confermava la sentenza del Tribunale di Lecco ad anni sette di reclusione. Non una parola si dice sul fatto se la signora Stucchi disponesse o potesse disporre di quella ingente somma. Lui, Di Bella, non lo sa né ha visto dare i soldi.
    “Il Farmacista” ovvero Clerici Luigi di Como assolse il ruolo di basista, io compilai il rapporto su questa vicenda. Fu arrestato e dopo sei mesi rimesso in libertà. Ho imparato come si fa l’imputato.
    A Como rapiscono Erika Ratti e “il farmacista” è sorpreso in cabina a telefonare alla famiglia Ratti. Viene condannato a16 anni di carcere. Lecco riprende in mano le accuse a suo carico, lo processa e lo condanna all’ergastolo e non a 16 anni come si dice nel libro. Condanna confermata dalla Cassazione. E’ ristretto al centro clinico di Parma dove vado a trovarlo con due magistrati di Milano nella speranza che riveli dove Giovanni Stucchi è sepolto. Niente, non parla, ma ciò è comprensibile in quanto il silenzio gli garantisce la vita.
    Carmine Forcella
    maresciallo dei Carabinieri in pensione

  2. Duccio ha detto:

    Caro Aristide,

    ho letto la replica e l’ho pubblicata su Qui Lecco Libera.

    Professionalmente hanno dimostrato tutta la debolezza del loro sopravvalutatissimo “saggio”.
    Un collage instabile, gravemente lesivo del ceto giornalistico.

    Nel merito poi, la replica, porta ancora in grembo delle inesattezze sul come utilizzare le testimonianze dei collaboratori.
    Come se il problema fosse stato il “de relato”. Tutt’altro!

    Ti ringrazio comunque per l’informazione.
    Sperando che questa figuraccia di Nuzzi e Antonelli possa servire in futuro, anche se ho fortissimi dubbi.

    Duccio

  3. Riccardo (post riportato dal gruppo di FB) ha detto:

    Vede, caro Nuzzi, si lasci dire da un collega all’estero che lei ha abbastanza esperienza nel settore per sapere che non è sufficiente nascondersi dietro la scusa “sono parole riportate da terzi”; il lavoro che ci accomuna, e che io amo profondamente, ha potenzialità di soggezione fortissime che richiedono altrettanto senso di responsabilità, soprattutto in un Paese dove ciò che è mediatico – scritto o proiettato sugli schermi televisivi – assurge a verità imprescindibile, vero o falso che sia. Vede, caro Nuzzi, da olginatese che manca dalla sua terra da 18 anni, poi, mi addolora il fatto che lei avrebbe potuto veramente affrontare quest’argomento in mille modi e raccontare che veramente la ‘ndrangheta ha da oltre 30 anni un fortissimo potere nella zona. Un potere terribile, che va raccontato, ma non romanzato, perché non si tratta della storia di Don Corleone, ma piuttosto di un gruppo d’ignoranti che con il loro agire criminale hanno offeso e offendono le migliaia e migliaia di onestissimi meridionali venuti in Brianza per lavorare. A che pro, le chiedo, raccontare questa storia assurda dal gusto del romanzo d’appendice? Perche offendere la memoria di una persona che ha sofferto così tanto nella sua vita e che, nonostante tutto, ha saputo crescere i propri figli con forza e coraggio? Ma, in coscienza sua, è possibile che una donna abbia commesso ciò che si sostiene nel libro e abbia infuso allo stesso tempo nei propri figli l’amore e il rispetto per il proprio padre, che praticamente non hanno mai conosciuto, come testimoniano le parole del signor Aristide? La prego, non si nasconda dietro il Di Bella; entrambi sappiamo che NOI giornalisti decidiamo cosa mettere e cosa non mettere nero su bianco!

  4. Paolo (post riportato dal gruppo di FB) ha detto:

    È tutto allucinante quello che ho letto, aggravato dal fatto che i “giornalisti” ne fanno un unico calderone per costruire la loro narrazione di rapporti tra ‘ndrangheta e politica. Non si tratta solo di aver riferito e di aver dato credito ad un pentito che credibile non è, ma di averci costruito sopra tutta una storia mitologica. Tutto questo senza attendere il vaglio della magistratura, non preoccupandosi minimamente di colpire familiari dei coinvolti, rendendoli così vittime due volte. Veramente schifoso.

  5. Fabio Dadati (post riportato dal gruppo di FB) ha detto:

    Mi dispiace molto per la sofferenza che vi ha procurato questo libro ingiusto. Vi sono vicino e condivido la lettera con tutti i miei amici.

  6. Paolo (post riportato dal gruppo di FB) ha detto:

    Nuzzi si sta confermando un pessimo giornalista, non so come mai lo tengano ancora a “Libero”. Già la storia raccontata dal Di Bella, alla quale Nuzzi ha dato ampio spazio, che Versace sarebbe ancora vivo mi aveva fatto rotolare sotto il tavolo dalle risate. Qui invece c’è ben poco da ridere, purtroppo, e se un pentito può dire quello che vuole, chi raccoglie le sue parole deve fare molta più attenzione prima di divulgarle dandogli credito e risalto.

  7. Antonio Gilardi (post riportato dal gruppo di FB) ha detto:

    Ciao Aristide, la parte del “libro” che tocca la tua famiglia è la più vigliacca che i due “giornalisti” hanno scritto. Speculare senza verificare quanto raccontato è a dir poco riprovevole. Vi sono vicino a nome mio e di tutta la Giunta di Olginate.

  8. Paolo (riportato da http://www.quileccolibera.net/?p=3042 ) ha detto:

    La lettera del signor Aristide Stucchi, sebbene QLL sia stata fin da subito – forse addirittura la prima – guardinga e dubbiosa sul Libro Metastasi, e quindi anche chi come me ne legge quotidianamente il sito ne fosse preparato e sciettico, ha la forza di rimettere a fuoco un quadro che ci sfugge spesso.
    La lettera del signor Stucchi mette sul piatto gli occhi e l’innocenza dei bambini. In questo caso i suoi figli, nipoti.
    E con il dono della misura ci riporta lì. A pensare come il problema dell’informazione-spettacolo non sia, non è, evidentemente solo un problema televisivo.
    Il giornalismo pattumeria, spesso, è solo più forbito, bene incolonnato e tirato in centinaia di migliaia di copie dentro una copertina di grido.
    Menefreghista degli occhi dei bimbi, dell’innocenza dei bambini. Menefreghista.

    I libri scritti senza documentarsi appieno, senza incrociare le fonti, senza il ripetto innanzitutto per i bimbi, e per le persone in generale, come evidenziato con garbo dal signor Aristide Stucchi hanno un solo pregio, indiretto, quello di dimostrare ancora una volta che è molto raro, nel nostro oscuro e omertoso paese, che i “misteri” trovino spiegazione, e i morti la pace.

    A volte la ferocia e l’ipocrisia del potere e del mercato, contribuiscono a trasformare ogni tragedia – e molte morti illustri – in un interminabile e grottesco faldone di atti e controatti, deduzioni e sospetti.

    Sebbene ultimamente siamo capaci di occuparci solo di bunga bunga e deputati pecore, il vero immenso scandalo è il deficit di verità.
    E forse solo una lettera delicata, ferma, onesta di un figlio di questi drammi, ci può aiutare a restituirci l’insolito sollievo di provare pietà per i morti.
    In silenzio, in pace, al riparo dal veleno della menzogna.

    Ringrazio da questo sito quindi pubblicamente il signor Stucchi per la sua lettera, nonchè il lavoro serio, meticoloso, documentato, di Qui Lecco Libera.
    Che questo deficit di verità provano caparbiamnete a colmare.

    paolo Trezzi

  9. Sara ha detto:

    Gli dice Pilato: “Che cos’è la verità?”.
    E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: “Io non trovo in lui nessuna colpa. Vi è tra voi l’usanza che io vi liberi uno per la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?”. Allora essi gridarono di nuovo: “Non costui, ma Barabba!”. Barabba era un brigante. Gv 38-40
    Questo è il mondo, Aristide. Si sta meglio quando non lo si conosce troppo a fondo. Però ricordati che, come dice un mio amico Vescovo iracheno, la verità soffre, ma non muore. La Verità esiste, esiste sempre, esiste per sempre e alla fine vince.
    Buona battaglia.

  10. Gaspare ha detto:

    Caro Aristide,
    ho letto quello che è stato pubblicato dai giornalisti autori del libro nel capitolo dedicato a tuo papà e anche la tua risposta molto chiara ed inequivocabile.
    Mi viene in mente qualche spunto di riflessione.
    Chi giornalmente si adopera come giornalista avrebbe il dovere di testimoniare la verità, ricercandola con tutte le proprie forze nei fatti ed evitando qualsiasi allusione non comprovata dai fatti stessi. In questo caso mi sembra che siano venuti completamente a mancare i presupposti della verità che non è stata per niente accertata e che viene raccontata secondo punti di vista poco attendibili. Ci tengo a dire perchè ti conosco da tanto tempo (anche se ci si vede meno da qualche anno) che le azioni di una mamma e di voi figli sono testimonianza di una vita all’insegna dell’onestà e del rispetto verso gli altri e verso se stessi nel senso della piena moralità.
    Purtroppo questo episodio è ancora una volta una denuncia di quello a cui tutti assistiamo oggi: uno stillicidio di false verità da qualsiasi parte possano provenire, orientamento politico, religioso e sessuale. Tutti cercano di aggredire l’avversario senza accettarlo e magari infamandolo senza tener conto che alla fine l’avversario merita sempre il rispetto.
    Chiudo dicendo che sono vicino a te e alla tua famiglia e che mi adopererò sempre per la verità, costi quel che costi.
    Un abbraccio.
    Rino

  11. Daniele Capelli ha detto:

    Parlando di verità, un filosofo tedesco, Franz Rosenzweig, disse: “Per il mondo la verità non è legge, ma contenuto. Non la verità invera la realtà, ma la realtà contiene e preserva la verità. L’essenza del mondo è questo preservare (non inverare) la verità”. Cerchiamola allora, questa verità. Cerchiamo quei contenuti che la fondano e la legittimano. Ma come si fa? Nel marasma di parole, eventi, immagini e rumori che, di giorno in giorno, ci riempiono la vita, come si può stabilire ciò che è vero e ciò che non lo è? Un buon punto di partenza è l’ascolto. Ascoltare senza pregiudizi e assorbire il tutto. Ma le voci sono tante, forse troppe per una mente normale. Per fortuna c’è un filtro che ci orienta e che ci permette di trovare un equilibrio, un filo rosso che ci guida nella formazione delle nostre opinioni: la coscienza. È da questo legame tra la realtà multiforme in cui viviamo, la nostra percezione e la nostra coscienza che nascono le nostre opinioni, ovvero ciò che noi riteniamo “vero”. La verità non è legge, ma contenuto, si diceva prima. Le nostre opinioni non sono “innegabili”, bastano le opinioni di un altro per far vacillare le nostre. Ecco quindi che è con il confronto che si possono fare passi in avanti nella nostra ricerca della verità: non fermarsi al primo ascolto, ma cercarne un secondo e poi un terzo e così via. Tutti lo possiamo fare, ognuno nel piccolo mondo in cui vive. Alla fine non dettiamo nessuna legge, però comprenderemo meglio la realtà che ci circonda (i suoi contenuti), non ci limiteremo a guardare con un occhio solo e ad ascoltare solo da un orecchio ma avremo una visione completa delle cose e in questo modo ci difenderemo da chi pensa che l’ascolto unidirezionale sia sufficiente per alzare una voce, da chi pensa che le parole di un pentito siano sufficienti per riportare e pubblicare altri nomi, dietro cui si celano uomini e donne che hanno delle storie, delle vite alle spalle, senza degnarsi di interpellarle per sentire anche la loro versione. Non mi riferisco ai politici o agli uomini che ricoprono incarichi pubblici, dopotutto fa parte del gioco l’essere chiamati in causa se si ha visibilità, ma ai privati cittadini che niente hanno chiesto o fatto per essere sbattuti in prima pagina, di fronte a un pubblico che non li conosce e a cui non hanno chiesto o fatto nulla e che per il pubblico esistono solo nel momento in cui un pentito fa i loro nomi, divenendo oggetto di pettegolezzo disinteressato e insensibile nei confronti di ciò che, loro malgrado, si trovano così ad affrontare. Non si tratta di dire “colpevole o innocente”, non è questo il punto. La legge ha le sue verità su cui la magistratura sicuramente indagherà. Si tratta invece di capire se sia moralmente giusto e accettabile pubblicare storie “presunte” (perché tali sono fino al pronunciamento della magistratura), impadronendosi di nomi “veri”, di vite vere, senza chiederne il permesso, senza nemmeno pensare che sia moralmente corretto quantomeno avvisare le persone chiamate in causa, dare una voce anche a loro, nel nome di una libertà di stampa che però in questo modo nega se stessa e si sminuisce superficialmente (perché libertà non significa parzialità, anzi, dovrebbe significare possibilità di andare in ogni direzione, di aprire più porte e presentare i fatti senza riserve. Se così non è, la calunnia è alla portata di tutti). Non basta nemmeno sventolare ai quattro venti l’accertata attendibilità della fonte (unica fonte), per legittimare la pubblicazione sfrontata di storie private (ripeto private, non di uomini pubblici), perché: primo, pentimento non è sinonimo di autorevolezza; secondo, la coscienza di un uomo (e i giornalisti sono uomini) dovrebbe intervenire quando in ballo c’è l’etica; terzo, la moralità di un uomo (e i giornalisti sono uomini) dovrebbe sussultare quando quell’uomo è così vile da riportare storie apprese da altri e pubblicarle in maniera così indifferente, nascondendosi dietro l’ipocrisia di chi firma un libro in copertina e, subito dopo, si affretta a sottolineare che la prima copia del libro è stata tempestivamente data alle autorità competenti per le indagini (la bomba mediatica che manda agli altari gli autori val bene una copia omaggio). Ripeto: non mi interessa sapere chi è colpevole o innocente, non ne ho le competenze e le conoscenze, ci sarà chi sicuramente lo saprà dire. Mi interessa capire fino a che punto si possa allargare chi pensa di avere il diritto di rubare le identità altrui per farle proprie attraverso un lavoro di penna. Quali siano i limiti deontologici e i giusti percorsi da intraprendere. Mi sembra che questo libro ne abbia superati alcuni.

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