Ipocrisia, santificazione, fumo e ringraziamenti

Riporto di seguito le avvertenze, l’introduzione ed i ringraziamenti riportati nel libro. Gli autori dopo aver ipocritamente avvertito che i pentiti non sono oracoli, e che chiunque è innocente fino a prova contraria, tessono le lodi di Di Bella, e gli costruiscono un alone di credibilità e santità seconda a pochi. Mescolano poi le carte in gioco gettando fumo negli occhi al tipico lettore medio poco attento e finiscono ringraziando per il vero coraggio il nuovo “paladino della giustizia”.

Dediche

A mio figlio. A Federica che da lassù mi dà il coraggio di raccontare.

A Matilde e Camilla.

A Giovanni.

 Avvertenza

La prima copia di questo libro è già stata consegnata con esposto al procuratore Giancarlo Capaldo, capo della Direzione distrettuale antimafia di Roma. E nostro dovere, infatti, non solo informare ma anche trasmettere con qualche anticipo alla magistratura tutte le notizie di rilevanza penale che possono fornire un contributo alle indagini. Nel corso dei capitoli vengono denunciati gli esecutori di reati ancora sconosciuti e svelati i possibili mandanti di omicidi rimasti insoluti. Il lettore pertanto ci scuserà se copriremo con una sigla le identità che potrebbero rivelarsi significative ai fini di eventuali inchieste. E altresì evidente che le dichiarazioni dei collaboratori e le accuse devono ancora passare al vaglio della magistratura. Pertanto le persone citate a vario titolo sono e vanno ritenute innocenti fino ad accertamento definitivo da parte dell’autorità giudiziaria. Per lo stesso motivo il nome di alcune di queste è stato sostituito nel testo da una lettera dell’alfabeto greco.

 Questo libro

L’occasione capita per caso nell’inverno del 2009, nel vivo del lavoro al giornale. Bisogna coglierla al volo per catturare una storia che altrimenti ripiomberebbe nel buio. Sono alla mia scrivania, un tardo pomeriggio, quando squilla il telefono. È la segretaria: le passo un signore, è una cosa strana. Se supera il primo filtro, la telefonata merita. Arriva il collegamento alla cornetta e, subito, l’accento meridionale: Buonasera, sono un collaboratore di giustizia. Un respiro, una pausa. È un” voce bassa, senza emozione, senza timbro. Riprende: Ecco, vorrei raccontare la mia storia. Questo libro parte dalle confessioni esclusive di Giuseppe Di Bella, uno dei pochi uomini della ‘ndrangheta ad aver lasciato l’organizzazione, dopo mezzo secolo di fedeltà assoluta, per una scelta senza ritorno: collaborare con lo Stato. Di Bella è stato amico d’infanzia e per anni uomo di fiducia del boss Franco Coco Trovato, uno dei capi storici dell’organizzazione, il padrino calabrese che con il sangue ha colonizzato iÍ Nord Italia, dalla Lombardia al Veneto. La sua testimonianza racconta perché la ‘ndrangheta è riuscita a entrare nella politica, nelle amministrazioni, nel mondo del lavoro, nella società. Una malattia che avanza, ci avvelena, che arriva fino al Parlamento. Una metastasi. Di Bella è in grado di ricostruire i codici, le leggi non scritte, i riti della ‘ndrangheta; racconta I’esordio nel traffico d’armi, i primi acquisti di pistole dai partigiani, la capacità di comprare chiunque e qualunque cosa fagocitando aziende, esercizi commerciali, professionisti, vite. E quando stringe sulle vicende più clamorose, come i rapporti con Gianni Versace e la sua morte misteriosa, trova riscontri significativi nella testimonianza di un altro collaboratore di rilievo: Filippo Barreca. Non si sono conosciuti. Barreca ha vissuto la sua esperienza criminale a 1200 chilometri di distanza, senza mai incrociare quella di Di Bella; eppure i loro racconti si intrecciano e si completano a vicenda.

La credibilità di Giuseppe Di Bella si fonda su diversi fattori. E stato ritenuto sempre attendibile dai magistrati e dalle corti che lo hanno ascoltato tra Varese, Como, Milano, Bergamo e altre città. Grazie a lui decine di affiliati sono stari arrestati e condannati; la patente di affidabilità depone senza dubbio a suo favore, ma da sola non sarebbe sufficiente ad avvalorarne le affermazioni. I pentiti non sono oracoli, non diffondono la verità rivelata, e ogni dichiarazione di Di Bella, per quanto verosimile, va presa con il beneficio del dubbio. Vanno però considerati tre elementi fondamentali.

Primo: Di Bella in questo libro si autoaccusa per la prima volta di nuovi reati, attribuendosi un ruolo in vicende significative a oggi sconosciute alla magistratura. Così facendo corre il rischio di nuove imputazioni e di riaprire la sua partita con la giustizia. Puntare I’indice contro se stessi attribuisce un credito di affidabilità a qualsivoglia aspirante pentito, e Di Bella pentito lo è già da un decennio.

Secondo: Per le vicende più significative, Di Bella non rende affermazioni de relato, ma racconta episodi che ha vissuto in prima persona. I fatti più clamorosi li ha visti e sentiti lui. Inoltre Barreca contestualizza i racconti di Di Bella, evidenzia altri e nuovi reati, avvalora le dichiarazioni del primo ex ‘ndranghetista riferendo elementi che combaciano alla perfezione.

Terzo: Non essendo più sotto protezione da alcuni mesi e accusando membri della ‘ndrangheta di fatti nuovi, si espone a rischi rilevanti, anche se si rifiuta di tornare sotto copertura (ed è per questo che la prima copia del libro è stata consegnata in procura).

Ma perché questi ex uomini d’onore parlano solo ora o, meglio, si sono decisi solo adesso ad aggiungere formidabili capitoli a quanto già avevano svelato ai magistrati? La scelta di Barreca, seppur decisiva, è più semplice, poiché il suo contributo consiste nel confermare episodi specifici. La scelta di Di Bella, invece, è I’epilogo di una maturazione personale. Un percorso articolato che lo porta a tralasciare il suggerimento, da parte del suo avvocato,

di non aggiungere altro a quanto già svelato all’autorità giudiziaria: Tre, quattro anni fa dissi all’avvocato che volevo fare nuove dichiarazioni pur di ottenere qualcosa perché ero trattato troppo male”, ma l’avvocato mi disse: “Basta, quello che sai tienitelo per te, adesso non parlare più di niente”. Allora io mi sono tenuto tutto per me con la promessa che un giorno avrei raccontato quello che non mi hanno permesso di dire.

Il giorno è arrivato con la morte di mia moglie. Sul letto di morte le ho promesso che avrei fatto la massima chiarezza per dare a nostro figlio un futuro. Era una brava ragazza che piano piano mi ha cambiato la vita. Ha cercato di cambiarmi e ce I’ha fatta. Sono diventato collaboratore per lei, e quando è mancata ho capito fino in fondo che nella mafia non esiste amicizia ma solo interesse e morte. Se non ti comporti come dicono loro è la fine. Una volta un boss, prima di una riunione fra esponenti della ‘ndrangheta e uomini di Cosa nostra come Giovanni Brusca, mi disse: “I principi e i baroni non si toccano, perché loro tirano i fili dei pupi della politica, la comandano”. Ma io non mi fermo. Non ho più paura.

Ho deciso di raccontare tutto e di condurvi in questo inferno.

Le dichiarazioni più rilevanti risalgono al 2002-2005, quando Di Bella riferisce soprattutto riguardo alla struttura criminale dell’associazione e all’evoluzione delle attività della “famiglia Trovato” a seguito dell’arresto di Franco Trovato, come si legge nella sentenza della Corte d’appello di Milano, presieduta da Cesare Beretta, pronunciata nel 2009, Più in particolare, Di Bella ha reso una pluralità di dichiarazioni in 29 interrogatori dal mese di ottobre 2002 al marzo del 2005 [.,.] E stata ritenuta l’attenuante speciale valutata I’incidenza del contributo utile a evitare che l’attività delittuosa fosse portata a conseguenze ulteriori, esplicatosi in ampie dichiarazioni collaborative e in indicazioni decisive per I’individuazione degli autori dei vari reati. Per questo, e considerato il rilievo del contributo offerto dal Di Bella anche in relazione al reato associativo di stampo mafioso, appare giustificata la massima riduzione, della pena.

Ringraziamenti

La gratitudine va a magistrati come Giancarlo Capaldo e Nicola Gratteri e al sostituto procuratore Galileo Proietto della Direzione distrettuale antimafia di Milano.

La riconoscenza a Maurizio Belpietro e Ferruccio de Bortoli, senza i loro consigli questo libro non sarebbe uscito.

L’incoraggiamento va a tutti i figli dei collaboratori di giustizia perché sappiano costruire ciò che meritano. La speranza ai figli di coloro che vivono ancora nelle organizzazioni criminali

perché conoscano I’adrenalina del vero coraggio.

Il nostro grazie va a Giuseppe Di Bella e Filippo Barreca per il vero coraggio, a investigatori come Giovanni Capello, a Barbara Reggiani per la meticolosità nelle sbobinature e a rutti coloro che si sono adoperati per I’uscita di questo libro e che per motivi diversi non possono comparire.

A Camilla e Valentina per la fiducia e la pazienza.

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